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"Cuevas de la Manos", Argentina, Parco NazionalePerito Moreno

MANI E RITRATTI

Michelangelo in una delle sue famose lettere, parlando della mano dell'artista, eleva l'arte a un gesto mentale, il più nobile, e la mano come suo fautore materiale, ritenendo infatti la pittura il maggiore esponente di questi gesti mentali: «si dipigne col ciervello et non con le mani»1.

 

Autoritratto di Buonarroti della Sistina, terminato da Jacopino de Conte, 1535, Olio su tela, Metropolitan di New York

La ricerca della bellezza, la creazione tende sempre a seguire dettami mentali, una gestualità subordinata all'intelletto, che possa scorgere in un blocco di marmo ancora rozzo le forme di un'opera magna di bellezza inestimabile ancora da sviluppare.

Dunque il pensiero e il gesto sono ciò che rimarranno ai posteri, piuttosto che il corpo umano fisico, debole al tempo. Un po' come Foscolo nei suoi “Sepolcri”, usati per dichiarare la sua immortalità attraverso la poesia, la poesia che sopravvivrà alle ere, al tempo, all'uomo stesso in una vita eterna.

Un buon esempio di questa filosofia eternalistica mortale vista dai contemporanei di Michelangelo, unione della mente con la mano è l'autoritratto di Buonarroti della Sistina, terminato da Jacopino del Conte nel 1535 -conservato al Metropolitan di New York- in cui solo volto e mano sono definiti, in un binomio inseparabile.

Dall'altra parte Annibale Carracci, a suo fratello Agostino, dichiara «Noi altri dipintori habbiamo da parlare con le mani», autodefinendosi come colui che lavora con le mani, produttore di immagini sinonimo di bellezza piuttosto che di teorie intellettuali, contrastando il pensiero michelangiolesco sulla pittura, che il fratello subordinò alla letteratura2.

Henri Joseph Focillon, incisore e storico dell'arte, a tal proposito mette l'accento sul fare l'arte con le mani, strumento di creazione universale, organo di conoscenza e simbolo di una creazione divina nel suo saggio “Elogio della mano”3.

 

«l’arte si fa con le mani. Esse sono lo strumento della creazione, ma prima di tutto l’organo della conoscenza»

 

Il mondo dell'arte è pregno di interessanti studi e applicazioni dell'uso del gesto della mano, fin dai tempi antichi fino a quelli moderni, dalla rappresentazione di essa come simbolo di creazione, alla rappresentazione della mano che opera fino all'uso della mano indipendentemente dall'artista, come opera a sé stante come possiamo ad esempio vedere nelle opere di Mario Mariotti con le sue Animani, sua creazione negli anni '80, in cui trasformava le proprie mani in vere e proprie rappresentazioni artistiche di animali di vario genere, dipingendone sopra i dettagli, ma portando alla luce quanta espressività possano avere, dato uno stesso mezzo la creazione di decine e decine di opere differenti, come potrebbe essere il pennello per un pittore.

 

Il tema rimane dunque immenso e complesso data l'immensità di interpretazioni e significati teorici legati alla rappresentazione del corpo e il loro uso nell'equilibrio delle opere, ma possiamo identificare un inizio approssimativo di questa necessità umana di lasciare un segno riconoscibile e distinguibile di sé nelle radici della storia umana, con le impronte delle mani nelle pitture rupestri o nelle grotte paleolitiche, testimonianze archetipiche dell'uso della mano come strumento di creazione e comunicazione. Dobbiamo dunque parlare della “Cueva de las manes” in Argentina, quasi di carattere modulare con le molteplici mani una accanto all'altra impresse col colore sulla pietra, sovrapposte e sequenziali, quasi allucinogene.

Con la sua capacità simbolica e creativa diviene un elemento ricorrente nella storia, sviluppandosi e mutando anche nella storia del ritratto e dell'autoritratto -quest'ultimo che andremo ad approfondire più avanti.

 

La rappresentazione delle mani dell'artista non è tuttavia sempre presente, è l'artista a sceglierne la presenza rappresentandosi a mezzo busto o figura intera, solitamente nell'atto della creazione di un'opera davanti alla stessa. In quell'istante esse diventano protagoniste, mutando postura e rigidità, dando espressività, gestualità eloquente e donando ruolo e dignità alla figura dell'artista, elevandolo in quanto a essere creatore.

 

Max Jakob Friedländer le definisce “mano parlanti”4, in quanto accentrano su di sé significati e attenzioni, raccogliendo e accogliendo il senso dell'opera e dialogando con l'astante, trascendendo luogo e tempo. L'artista cerca di dare immagine di sé, nel tentativo di elevarsi assieme al proprio lavoro, rappresentandosi con elementi che lo contraddistinguano da chiunque altro: la posa delle mani, il volto, i vestiti e strumenti del mestiere, la postura pregna di carattere e significati celati innanzi al proprio lavoro, che sia una scultura, un quadro o altro, il tutto inquadrato nel ceto sociale e nel tempo storico, impregnandolo del pensiero dell'artista.

Riguardo alla critica sull'iconografia del ritratto possiamo menzionare alcune opere di grande rilevanza sulla tematica come “Il gesto e la mano: convenzione e invenzione nel linguaggio figurativo fra Medioevo e Rinascimento” di G. Dalli Regoli (Firenze, 2000), “Renaissance Self-Portraiture. The Visual Construction of Identity and the Social Status of the Artist ” di J. Woods-Marsden (New Haven, 1998) e infine “The painter's reflection: self-portraiture in Renaissance Venice 1458-1625” di K. T. Brown (Firenze, 2000).

 

Con la rappresentazione della mano che mantiene il pennello, l'artista mostra autocoscienza di sé e della propria creazione, conseguentemente all'atto dato dalla mano stessa. A partire dal VXI secolo questo tipo di rappresentazione di sé “al lavoro” con le mani creative che raccontano sé stesse, diventa simbolo di emancipazione sociale ed coscienza del proprio io. I dipinti cominciano a venire costruiti perché lo sguardo venga magneticamente attratto a quella zona, all'elemento della mano e del pennello, che spicca su tutto e fa riflettere.

Questo modello di rappresentazione rimane pressappoco immutato fino al XIX secolo quando il dipinto viene prima affiancato e poi quasi completamente obliterato dalla fotografia e dal cinema, per poi una rifioritura dello stesso nel XX secolo. Fotografia e cinema sono strumenti in grado di catturare la realtà con un livello di dettaglio enorme e in un tempo brevissimo, con nuove possibilità documentaristiche, affiancata a una ricerca dell'abilità tecnica nel loro uso ancora macchinoso, ridefinendo la figura storica dell'artista in quanto finalmente si può mostrare concretamente la connessione tra pensiero estetico e creatività.

 

L'artista ora può ricercare una nuova via per l'immortalità, sicché il dipinto mostrava autocoscienza e virtù artistica, amplificherà le possibilità di creazione, di sperimentazione e di ricerca di questo nuovo mezzo inesplorato col quale si può dare significato anche a concetti di rappresentazione completamente inediti, tendendo all'utilizzo della mano come protagonista assoluta, come afferama Ferrari nel suo saggio “Lo specchio dell'io: autoritratto e psicologia ” (Roma-Bari, 2010).

 

Con l'introduzione alla fotografia artistica, però, c'è un importante passaggio di significato, un cambio di prospettiva radicale: se nell'autoritratto pittorico, è l'artista che rappresenta sé stesso col solo mezzo di uno specchio, nella fotografia serve l'intervento esterno di una seconda persona,tecnica ed esperta sull'uso della macchina. Fotografo e cineoperatore, sono due nuove figure di indispensabile necessità.

Si passa dalla mano rappresenta sé stessa nell'atto di rappresentare, a una rappresentazione esterna della stessa nell'attimo di creazione, mostrando un frammento o una dinamica intera dell'atto artistico della creazione.

Nella pittura e nella fotografia sono sconfinate le quantità di opere rappresentanti l'atto artistico, ma una particolarità della cinepresa risiede nella dilatazione del tempo di rappresentazione, laddove un attimo diventa un intero processo creativo, in una documentazione minuziosa di artista, opera ed atto.

Omar Calabrese ritiene, in un recente studio sulla ritrattistica fotografica, che l'artista con questo mezzo prendo il possesso del materiale e al contempo del teorico, riconoscendosi in quanto autore empirico, ma anche come elemento astratto di rappresentazione. La sua mano conduce alla mobilità, a una gestualità “parlante”, rendendo l'autoritratto un racconto sull'autore.5

Il ritratto pittorico, dunque, forma intima di autoritratto, può essere comparata al cinema, complesso ed espanso temporalmente? Il cinema può arrivare ad essere intimo quanto un quadro o l'implicazione di persone esterne risultano in un rapporto freddo e distaccato con lo spettatore?

 

Roland Barthes espleta un suo pensiero su fotografia e in particolare la forma cinematografica, definendola come:

 

«Davanti all'obiettivo io sono contemporaneamente: quello che io credo di essere, quello che vorrei si creda io sia, quello che il fotografo crede io sia, e quello di cui egli si serve per far mostra della sua arte. In altre parole, azione bizzarra: io non smetto mai di imitarmi (…).» 6

 

Dunque nei capitoli successivi analizzeremo l'evoluzione del ritratto e della mano in stretta correlazione in diversi archi temporali a partire dal Rinascimento fino all'archivio documentaristico cinematografico.Nel corso della storia cambiano i mezzi, da fissità a movimento, da dipinto a cinema, ma al centro di questi rimane sempre l'artista e il suo lavoro, dall'artista governante ogni minimo aspetto dell'opera, al passaggio di testimone ad un alter ego esterno, senza denaturare l'aspetto riflessivo della creazione.

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1Il passo della lettera scritta nel 1542 riguarda la sepoltura di Papa Giulio II, citata in Commentario alla Vita di Michelangelo Buonarroti in Le vite de più eccellenti pittori, scultori ed architettori scritte da Giorgio Vasari pittore aretino con nuove annotazioni e commenti di Gaetano Milanesi, VII, Firenze 1906, p. 320.

2G.B. Agucchi, Diverse figure al numero di ottanta, disegnate di penna nell’hore di ricreatione da Annibale Carracci intagliate in rame, e cavate dagli originali da Simone Guilino Parigino, in D. Mahon, Studies in Seicento Art and Theory, London 1947, p. 254.

3H. Focillon, Vita delle forme, seguito da Elogio della mano, Torino 1990, p. 114

4M.J. Friedländer, Landscape, portrait, still-life: their origin and development, Oxford 1949, pp. 230-262; Manus Loquens: Medium der Geste – Gesten der Medien, a cura di M. Bickenbach, A. Klappert et alii, Köln 2003.

5O. Calabrese, L’arte dell’autoritratto. Storia e teoria di un genere pittorico, Firenze 2010, p. 149.

6R. Barthes, La camera chiara, Torino 1980, p. 15

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Autoritratto di Buonarroti della Sistina, terminato da Jacopino de Conte, 1535, Olio su tela, Metropolitan di New York

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Mario Mariotti in "Animani", 1980

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